Cuneo – “Non dimentichiamo, gli stermini si stanno già ripetendo anche oggi, in Ruanda, in quel grande lager sommerso che è il Mediterraneo con i suoi 20.000 morti migranti, a Srebrenica”: il prof. Gigi Garelli ha presentato la mostra della deportazione nei campi nazisti, nella sala polivalente del Cdt di largo Barale, alla classe 5 a F del “Grandis”. Accompagnati dalla prof.ssa Giancarla Tomatis, le studentesse hanno toccato con mano le crude fotografie che documentano questo tragico periodo della storia. I documenti e le foto sono le uniche copie rimaste: per preservarle almeno digitalmente, sono state fotografate cautelativamente.
Vi trova spazio la divisa di deportata a Ravensbruck, riprodotta fedelmente. A righe grigie e blu, era un lusso, nel 1944, concesso solo alle anziane del campo. La divisa costava all’economia concentrazionaria, non era il caso di vestire le prigioniere. Gli stracci diventano divisa, basta una croce bianca dipinta con la biacca sul petto. Nel luglio del 1944 questi stracci diventano la divisa d’obbligo delle deportate in quarantena, distinguono le ultime arrivate, le indicano all’attenzione delle Kapolcolonne o Kapo, le condannano ad una condizione di sottoproletariato. Anche nelle città concentrazionarie “l’abito fa il monaco”, indica la classe sociale della deportata (da “Le donne di Ravensbruck”). La mostra, la prima a carattere nazionale, si spostò per quattro anni in molte città italiane, nel 1956 a Ferrara, nel 1958 a Verona, nel 1959 a Bologna, Roma e Torino: da qui raggiunge Cuneo. Lidia Beccaria Rolfi fu coinvolta sia a livello organizzativo sia nei dibattiti, iniziando la sua lunga attività pubblica di testimonianza. La mostra del 1955-59 costituì la prima rottura di quell’immagine nebulosa della deportazione, di cui non si parlava nel primo dopoguerra, per un’elaborazione della memoria collettiva del Paese, a cui Lidia Beccaria Rolfi diede un contributo determinante.
Carlo Garavagno